Negli ultimi anni le tecnologie applicate alla terapia odontoiatrica hanno fatto davvero passi da gigante e ci si trova a chiedersi se sia ancora essenziale l’esperienza dell’operatore nel formulare i piani di trattamento.
È veramente così?
Sicuramente si ma in alcune discipline odontoiatriche sembra quasi che sia bypassabile. Pensiamo alla ortodonzia il cui mercato è stato ampiamente invaso dagli allineatori: si rilevano delle scansioni digitali e delle fotografie digitali, si invia una richiesta terapeutica indicando quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere e di conseguenza vengono prodotti e consegnati gli allineatori, per ora con un progetto seguito da informatici addetti alla elaborazione dei dati ma con grande probabilità a breve completamente gestibile da intelligenza artificiale.
Che dire del posizionamento degli impianti?
Anche qui si rileva una indagine radiologica tridimensionale (CBCT), si mixano i dati DICOM con quelli STL che derivano da una scansione digitale e un service studia a computer dove è meglio posizionare gli impianti o se è necessaria una rigenerazione ossea per posizionare le viti osteointegrate nella corretta posizione protesica. Sempre attraverso elaborazioni digitali viene vista la qualità dell’osso e viene prodotta la mascherina guida per agevolare il clinico nel posizionamento dell’impianto. Per i più avanzati e per chi può permettersi costi ancora maggiori ci si può già avvalere di strumenti guidati da una specie di gps o addirittura si può avere un braccio robotico che non fa affaticare la mano del chirurgo, quest’ultimo per lo meno, se necessario dovrà ancora dare i punti di sutura o innestare il materiale rigenerativo piuttosto che il connettivo necessario per ispessire i tessuti molli.
Sono contenta di aver scelto di dedicarmi alla parodontologia cioè alla disciplina odontoiatrica che si occupa di curare la parodontite evitando che i denti vengano persi; penso sia la disciplina più medica, quella che ha maggior necessità di occuparsi dei fattori di rischio sistemici del paziente, quella che senza una terapia di supporto “long life” potrebbe non dare risultati, quella che mira non solo a curare ma a gestire i fattori modificabili del paziente, fumo dieta stili di vita; è la disciplina che ancora porta il clinico a ragionare sulla opportunità di una azione terapeutica e sul suo diretto o indiretto risultato, in quello specifico paziente: ad oggi, sembra, che nessuna intelligenza artificiale sia ancora disponibile per eliminare la testa del parodontologo in questo delicato algoritmo decisionale che gli esperti conoscono e mettono in atto per formulare i piani di trattamento basandosi sulla evidenza scientifica.
Come affrontare i casi di parodontite
Mi occupo di parodontologia da 30 anni e ultimamente, ancor più che in passato, ho occasione di confrontarmi con i piani di trattamento proposti ai pazienti che vengono nel mio studio alla ricerca di qualcuno che possa “salvare i denti” e cosa noto? Due situazioni opposte. C’è chi la parodontite ancora non riesce a diagnosticarla prima che diventi grave e continua a far credere al paziente che non esista una cura in grado di mantenere i denti nella loro sede con successo e c’è chi invece pur di togliere i denti fa credere ai pazienti che attorno alla struttura dentale vi siano tasche che invece risultano inesistenti quando sondate da un esperto parodontologo o igienista dentale. Che dire…mi sento solo di consigliare ai pazienti di chiedere più pareri prima di farsi togliere uno o più denti e ai Colleghi che faticano a studiare articoli scientifici e linee guida ormai pubblicate e note (2020) che è assolutamente necessario continuare a mantenersi aggiornati, non solo sulla tecnologia digitale ma, ancor prima, su quello che i trial clinici e gli studi longitudinali portano con forza alla nostra attenzione.
Buona estate!